08/09/12

Giorgio Sammito Albenga , BannersBroker Italia Truffa (Scam)!


BannersBrokers Italia truffa o reale opportunità?

Abbiamo ricevuto diverse email che chiedevano un nostro parere riguardo l'azienda denominata Banners Broker Italia, siamo arrivati tramite una vicenda collegata a Giorgio Sammito di Albenga, ex Bancario, allontanato dalla banca per un contenzioso, per il quale presto parleremo, il quale entra a far parte di questa catena di S. Antonio.

Quest'azienda si preoccupa di acquistare e vendere pubblicità, in particolare pubblicità che paga in base ad impressioni su un determinato sito e si serve di "agenti" (in questo caso chi decide di collaborare con il progetto), per pubblicizzare tale servizio e nello stesso tempo per garantire ai propri clienti un certo numero di visualizzazioni del proprio logo, Maggiori saranno i clienti e maggiori saranno le entrate per i collaboratori, la cosa interessante è che i collaboratori oltre che ad essere "agenti" sono anche dei clienti, quindi grazie a questo sistema si ha anche la possibilità di pubblicizzare un eventuale proprio sito, network, etc...

Purtroppo' Banners Brokers, lascia tutti con piu' di 100.000.000 $ di debito, pochi sono riusciti a rientrare del solo investimento iniziale Il tribunale Canadese, condanna gli amministratori  Gloria Dixit, RAJIV DIXIT alla restistuzione del capitale versato da circa 1 millione di  membri bloccando questo tipo di Business. La Societa':


“Banners Broker head office
100 King St W,
Suite 5700,
Toronto, ON -
M5X 1B8.”
Confirmed by Canadian company database:
Corporation Number: 7250037
Directors: Gloria Dixit, RAJIV DIXIT
Corporate Name: Bannersbroker Limited
Corporate Name History: 2009-09-28 to 2012-02-22 7250037 CANADA INC.,
2012-02-22 to Present Bannersbroker Limited
In Italia nasce la BannersBroker Italia, che copia lo stesso schema oramai fallito in America, Canada.

Lo schema prevede, come faceva nel 1998 Virgilio DeGiovanni, che vendeva le caselle per poter diventare distributore INFOSTRADA, Bloccata dalla Guardia di finanza e processato per banca rotta fraudolenta della I@T S.p.A.

Noi lo consideriamo un MLM (multi-level-marketing) schema piramidale, in effetti guadagni facendo entrare nuove persone che spendono fino Max 600 Euro! per Acquistare un pannello (Account) ,i guagagni, che nessuno mai vedra',  te li promettono dopo 18 mesi. In effetti puoi sottoscrivere un Pannello solo se vieni indirizzato da altri membri tramite un link (referral), il quale guadagna una percentuale del tuo investimento iniziale, e una piccola percentuale viene messa a disposizione degli account , sotto forma di traffico generato dalla pubblicita' Online, che dubitiamo che esistera' mai.

In effetti la loro piattaforma non funziona, il loro sito web e' sempre Offline per la maggior parte del tempo.

Nel 1998 Virgilio Degiovanni, radunava tutti nelle piu grosse sale congressi, oggi BannersBroker Italia utilizza i Webinar, conferenze Online via Internet.

Il marketing piramidale è un termine che indica un particolare modello commerciale e di marketing non sostenibile, che implica lo scambio di denaro primariamente per arruolare nuove personalità nel modello, solitamente (ma non sempre) con lo scambio di beni o servizi.


Ad esempio l'articolo 5 della Legge 17 agosto 2005, n. 173 rende illegali organizzazioni che "configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone" oppure l'articolo 6 che vieta obblighi per il reclutato di corrispondere all'azienda somme di rilevante entità in assenza di una reale controprestazione al momento del reclutamento o per restare a far parte della struttura.

Chi ti fa entrare, nello schema piramidale, ovviamente riceve nelle sue tasche parte dei tuoi soldi! LA SOLITA STORIA!

ATTENZIONE!







Link:
http://controlatruffa.blogspot.co.uk/2012/05/banners-brokers-truffa-o-reale.html


http://blog.donothingmoney.com/banners-brokers-gone-scam-warning/comment-page-4/#comments

http://www.facebook.com/Sg13040BannersBroker

http://bannersbrokeritalia.com/chi-e-banners-broker/

Il reato di diffamazione a mezzo stampa e la reputazione

La diffamazione, così come l’ingiuria, consiste in una manifestazione del pensiero, che rileva, ai fini della consumazione del reato, nella misura in cui l’espressione offensiva venga a conoscenza di un’altra persona o comunque sia da altri percepita.
L’offesa è rivolta nei confronti della reputazione della persona - che al momento possiamo intendere come la “personalità sociale”, il valore sociale di un determinato individuo - che può essere lesa o messa in pericolo da chiunque attribuisca al soggetto interessato qualità o fatti in qualche modo disonoranti. 1. Il reato di diffamazione.

La diffamazione, così come l’ingiuria, consiste in una manifestazione del pensiero [1], che rileva, ai fini della consumazione del reato, nella misura in cui l’espressione offensiva venga a conoscenza di un’altra persona o comunque sia da altri percepita.

L’offesa è rivolta nei confronti della reputazione della persona - che al momento possiamo intendere come la “personalità sociale”, il valore sociale di un determinato individuo - che può essere lesa o messa in pericolo da chiunque attribuisca al soggetto interessato qualità o fatti in qualche modo disonoranti. Tale offesa implica in concreto, ma non necessariamente, che la persona si senta colpita nel proprio onore e che ne risenta la sua reputazione in termini di perdita di stima. Ma, dal momento che si verte nel campo dei beni morali, non è facilmente accertabile se questi vengano lesi effettivamente ovvero solo potenzialmente.

A questo punto occorre domandarsi se si tratti di reato di lesione o di pericolo e valutare, dunque, se la ratio della norma incriminatrice si identifica con la lesione ovvero con il pericolo di lesione del bene-reputazione. Ciò rileva al fine di determinare il grado di tutela del bene giuridico in questione (rendendo incerto il momento consumativo del reato).

Si premette che il reato si consuma nel momento in cui l’espressione offensiva è comunicata ad altre persone e si verifica la diffusione della propalazione offensiva. Dal testo della norma sembra desumersi che, in caso di comunicazione fatta separatamente a più persone, la consumazione segue la seconda comunicazione e tutte le altre rilevano ai fini della gravità del reato per il maggior danno che ne deriva.

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato sul punto che “la diffamazione è un reato formale ed istantaneo che si consuma con la comunicazione con più persone lesiva dell’altrui reputazione onde diviene irrilevante, ai fini del perfezionamento della fattispecie, una maggiore espansione quando si sia realizzata la propalazione minima, sempre che si rimanga nello stesso contesto di azione” [2].

Secondo parte della dottrina siamo in presenza di un reato di pericolo e non è necessario, per la configurabilità del reato, che “il biasimo abbia trovato credito presso coloro che lo hanno appreso e, quindi, non si esige che la reputazione sia distrutta o diminuita” [3]. Secondo altra parte della dottrina si tratta, invece, di un reato di danno e l’offesa presa in considerazione dalla norma è l’effettiva lesione del bene-reputazione [4].

La lettera della norma sembra deporre nel primo senso, dal momento che manca in questa un richiamo espresso all’effettiva perdita di stima. In ogni caso le difficoltà di inquadramento nell’una o nell’altra categoria di reati dipendono anche dalla natura del bene tutelato, che non consente una sua precisa e concreta identificazione.

Riguardo alla configurabilità del tentativo, questo potrebbe anche configurarsi in astratto, ma la possibilità che si realizzi in concreto è limitata anche dal fatto che, essendo un reato perseguibile a querela di parte, si presuppone, perché si configuri, che il soggetto passivo sia venuto a conoscenza dell’offesa rivoltagli.

2. Il bene giuridico tutelato.

Si ha diffamazione tutte le volte in cui taluno, “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione” e non ricorra in concreto una fattispecie di ingiuria.

Tale ultima precisazione, contenuta nella clausola “fuori dei casi indicati nell’articolo precedente”, sta a significare che un primo requisito negativo del reato in questione è l’assenza dell’offeso, il quale si trova nell’impossibilità di giustificarsi ed eventualmente rispondere all’offesa.

È proprio da ciò che discende, peraltro, la maggiore gravità della diffamazione rispetto all’ingiuria “per la maggiore quantità ed estensione del danno e per la viltà e la particolare pericolosità del colpevole” [5].

A tale requisito negativo se ne aggiunge un altro, che incide sulla struttura del reato e sulle modalità di aggressione del bene tutelato dalla norma, dato dalla divulgazione dell’offesa. L’azione incriminata si verifica, dunque, rendendo edotte altre persone della notizia diffamante nei confronti di qualcuno, che è assente, il quale ne riceve nocumento per la sua reputazione.

L’offesa alla reputazione costituisce il nucleo della norma incriminatrice, che punisce chi cerca di scalfire e, in effetti, scalfisce la stima di cui taluno gode tra i consociati, ciò che costituisce il valore sociale della persona. La ratio della norma è evidente nelle ulteriori previsioni che aggravano la fattispecie di reato in argomento, previsioni che sanzionano con maggiore rigore la diffamazione che avviene mediante la stampa o che consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. È agevole notare che in presenza di tali circostanze aumenta l’idoneità offensiva della condotta posta in essere dall’agente e la reputazione dell’offeso risente di un danno più grave.

La norma de qua è collocata nel capo II, “Dei delitti contro l’onore”, del titolo XII, “Dei delitti contro la persona”, del libro II del codice penale. Tale titolo prevede e punisce i delitti che offendono direttamente beni essenziali dell’individuo e tra questi è ricompreso, per l’appunto, l’onore. Giova rammentare che i delitti contro l’onore, contenuti del capo in esame, sono due: oltre alla diffamazione è sanzionata anche l’ingiuria. Nel codice è, comunque, possibile rinvenire altre offese all’onore sanzionate penalmente, ma si tratta di fattispecie incriminatrici che prendono in considerazione la lesione di interessi di maggior rilievo sociale.

Basti pensare all’abrogazione della norma che prevedeva e puniva il reato di oltraggio a un pubblico ufficiale (art. 341 CP), che è stata considerata dalla giurisprudenza norma assorbente rispetto a quella che prevede il reato di ingiuria. Norma quest’ultima che contiene solo una parte delle fattispecie che dapprima potevano essere ricondotte nell’ambito di applicazione della prima norma, che “tutelava alternativamente il prestigio o l’onore del pubblico ufficiale” e non “l’onore e il decoro della persona offesa” [6].

Autorevole dottrina intende per onore “il complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della persona, l’insieme delle doti morali, intellettuali, fisiche e delle altre qualità che concorrono a determinare il pregio dell’individuo nell’ambiente in cui vive” [7]. Vengono, dunque, in rilievo sia l’aspetto soggettivo (le qualità delle persona) che quello oggettivo (il valore sociale) dell’onore.

La dottrina germanica, invero, sottolineando il profilo soggettivo del bene-onore, sosteneva che quest’ultimo, in quanto racchiude il valore intrinseco dell’uomo, non può in alcun modo essere leso da un altro uomo [8].

Il nostro ordinamento considera l’onore sotto due aspetti l’uno di natura soggettiva, l’altro di natura oggettiva, che vanno oltre il valore più intimo dell’uomo. Il primo consiste in ciò che la dottrina ha definito come il “sentimento del proprio valore sociale” ed è rimesso all’apprezzamento dell’individuo stesso, mentre il secondo - ed è quello che più ci interessa - è rappresentato dal giudizio degli altri sulle sue doti, dalla reputazione e dalla considerazione di cui gode nella comunità. Ciò vale anche quando la lettera dell’art. 594 CP sembra riferirsi all’onore come all’insieme delle qualità morali, indicando le altre qualità col termine decoro.

La lettera del codice penale è chiara nel ricomprendere nell’ambito del reato di ingiuria la lesione dell’onore e in quello del reato di diffamazione l’offesa della reputazione. Come precisato entrambi i termini afferiscono al concetto principe di onore.

Del resto, mediante le dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie non si fa altro che attribuire a un soggetto qualità o fatti disonoranti, in grado di ledere tanto il sentimento del proprio valore sociale, quanto la reputazione dell’individuo. Malgrado, soprattutto in passato, si sia tentato da parte di alcuni autori [9] di relegare l’offesa alla reputazione nell’ambito della diffamazione e quella al sentimento dell’onore nell’ambito dell’ingiuria, non si può negare che in concreto il fatto criminoso possa avere ripercussioni su entrambi gli aspetti.

D’altronde, la giurisprudenza in tema di diffamazione non parla soltanto di opinione o stima di cui gode l’individuo, ma anche di “senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale” [10] o ancora di “decoro professionale” [11]. Vieppiù, sembra riconoscersi l’esistenza di un minimum di personalità sociale, che rende doveroso un corrispondente rispetto minimo nei confronti di tutte le persone. Al di là di tale soglia viene, poi, riconosciuta un’ulteriore tutela della reputazione, che è collegata alla posizione sociale che riveste il soggetto interessato. Rilevano, quindi, anche le qualità della persona offesa.

Indubbiamente, si tratta di una considerazione “astratta” delle particolari doti sociali della persona che procede per categorie: si parla in proposito di relatività della reputazione e nelle ipotesi concrete l’offesa va commisurata al rispetto medio dovuto alle diverse categorie degli avvocati, dei magistrati, degli sposi et coetera.

Il minimum di valore sociale tutelato è da rapportare al contesto sociale in cui è inserito e, su tali basi, la giurisprudenza ha affermato che non integra il reato di diffamazione la mera “infrazione alla suscettibilità e alla gelosa riservatezza” del soggetto passivo, avuto riguardo non solo alla totalità della popolazione, ma anche ai più limitati contesti di categorie professionali e di specialisti di un determinato settore [12]. Di tal guisa, il sentimento del proprio valore sociale, sul piano squisitamente oggettivo e quindi della reputazione, è “limitato” dall’apprezzamento che la comune opinione fa o può socialmente fare su quella data persona. È ciò che rileva in tema di diffamazione.

Sintetizzando, la relatività del concetto di reputazione si ricollega, anzitutto, al momento storico di riferimento (basti pensare all’epiteto “fascista” utilizzato oggi in raffronto al ventennio fascista), in secondo luogo al contesto sociale e, infine, al più limitato eventuale ambito di categoria cui appartiene l’offeso. Inevitabilmente, si tratta di un concetto elastico “i cui parametri sono destinati a non rimanere fissi nel tempo bensì a seguire … il mutamento della cultura e dei costumi sociali” [13].

Nondimeno, per verificare tale concetto è necessario “tenere presenti tutti gli indici che siano suscettibili di assumere rilievo al fine di individuare consistenza ed estensione della reputazione di un determinato soggetto” [14]. Pertanto, dal momento che la reputazione racchiude in sé le peculiarità personali, familiari e lavorative di un dato individuo, non si può non tenere in considerazione anche queste per valutare l’idoneità offensiva della comunicazione che si reputa diffamante. Non si tratta di spostare sul piano soggettivo il concetto di reputazione, che per forza di cose è intrinsecamente oggettivo, ma di rapportarlo alla posizione sociale o professionale dell’offeso, la cui reputazione proprio in ragione di tale considerazione potrebbe anche non ritenersi lesa o messa in pericolo.

Si pensi, ad esempio, a Sempronio che dichiara a più persone l’ignoranza di Tizio in una data disciplina, che nulla ha a che vedere con questi per professione, ambiente sociale in cui opera, etc.. In tale ipotesi lo stato o il grado sociale di Tizio potrebbe far considerare le dichiarazioni di Sempronio offensive della reputazione di Tizio? potrebbe costui, che non ha mai studiato diritto penale, offendersi perché qualcuno ha detto ad altri che non conosce quella particolare categoria di reati che la dottrina germanica denomina “Ausserungsdelikts”?

Quanto affermato sopra risulta di notevole rilevanza, perché la verifica della natura diffamatoria delle “comunicazioni” dell’agente è essenziale per l’accertamento del reato. Infatti, sembra banale dirlo, perché possa configurarsi la diffamazione, deve sussistere l’offesa alla reputazione. Se già, in virtù dell’accertamento di fatto operato dal giudice, non si riscontrerà l’idoneità offensiva della condotta, perché ad esempio l’ambiente in cui è stata posta in essere o il suo particolare contesto consentono di esprimersi in termini quasi offensivi, l’indagine sull’elemento oggettivo del reato porterà alla conclusione che il fatto non costituisce reato.

Si pensi alla lotta politica e alle espressioni pungenti e suggestive, sovente, utilizzate dai politici per apostrofare colleghi e personaggi pubblici, al fine di comunicare più efficacemente con i cittadini e carpirne il consenso [15]. Peraltro, anche coloro che ascoltano, da spettatori, tali dibattiti tra politici non colgono il significato offensivo ex se dell’espressione eventualmente utilizzata, se non come strettamente collegato al problema di interesse pubblico, più rilevante, su cui si controverte [16].

Se nel caso appena citato la tutela della reputazione viene contenuta dal particolare contesto in cui si realizza la comunicazione offensiva, la relatività del concetto di reputazione non può però comportare una modifica in peius della tutela apprestata dall’ordinamento quando una data persona sia per qualsivoglia motivo disistimata o disonorata. Il che vuol dire che quel minimum di valore sociale, di cui parlavamo prima, va riconosciuto a tutte le persone, che, in quanto tali, hanno una dignità personale e un diritto all’integrità morale che è indipendente dalla buona o cattiva fama posseduta.

Il rispetto sociale è dovuto a chiunque e il nostro ordinamento non può tollerare aggressioni alla reputazione di soggetti, che, pur essendo già compromessi per altri motivi, non possono avere lesa la propria dignità personale o professionale impunemente. Ciò, del resto, contrasterebbe con i principi della nostra Carta costituzionale e, in particolare, con l’art. 3, che - come detto - assicura pari dignità sociale a tutti i cittadini.

La giurisprudenza in tali ipotesi ha ritenuto, più volte, di tutelare l’onorabilità di tutte le persone, anche in presenza di eventi disonorevoli, “essendo la reputazione tutelata tanto come stima che una persona si è conquistata presso gli altri per i suoi meriti, quanto come rispetto sociale minimo cui ogni persona ha diritto, in quanto tale, indipendentemente dalla buona o cattiva fama che abbia” [17].

È vero, dunque, che taluno possa godere di una maggior tutela della propria reputazione per la posizione sociale o professionale che riveste in seno alla comunità, ma non è altrettanto vero che altri possano risentire delle loro malefatte con gratuite e ulteriori aggressioni diffamatorie a discapito della loro dignità personale. La Corte di Cassazione ha mantenuto tale orientamento anche trattando del diritto di cronaca giudiziaria.

È il caso solo di accennare all’orientamento di una parte della dottrina, secondo cui, invero, in tali ipotesi non si potrebbe garantire la tutela dell’onore a chi ha una reputazione negativa, realizzandosi vieppiù un’ipotesi di reato impossibile ai sensi dell’art. 49 CP [18].

Occorre, infine, operare la distinzione tra la lesione del bene giuridico della reputazione e quella del bene dell’identità personale, al fine di delimitare l’ambito delle condotte offensive che possono configurare una responsabilità penale per diffamazione.

In genere, quando viene diffusa una determinata notizia o una raffigurazione che incide in qualche misura sul giudizio che altri possano avere sulla persona, oggetto della notizia e della raffigurazione, e sul suo valore sociale, può configurarsi una fattispecie di diffamazione ex art. 595 CP. Perché ciò accada è, però, necessario che si realizzi un’offesa alla reputazione e non basta che “vi sia distorsione della effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale” [19]. In questi ultimi casi potrebbe, al più, configurarsi un illecito civile per lesione del diritto all’identità personale.

Così, ad esempio, mentre non costituisce reato il fatto che il giornalista esprima in certi termini la scelta politica di un dato soggetto, potrebbe ravvisarsi una sua responsabilità penale nel momento in cui attribuisce alla stessa persona un’opinione che costituisce “un abuso della libertà di manifestazione per il suo contrasto con valori fondamentali comunemente sentiti” [20]. In alcuni casi, poi, potrebbero sussistere entrambe le lesioni, come nel caso in cui le propalazioni offensive concernano i compiti istituzionali di un magistrato, offeso in ugual misura nella sua reputazione e nella sua dignità ed identità personale [21].

§

Note:

[1] Per tale motivo la dottrina germanica ha fatto rientrare entrambe le fattispecie indicate nella categoria di reati denominati “Ausserungsdelikts”.

[2] Cass. pen., Sez. I, ord. n. 1524 del 6/07/79.

[3] F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Milano, Giuffrè, 1966, Parte speciale, I, 138. Dello stesso avviso è Messina S., Teoria generale dei delitti contro l’onore, Roma, 1953, 128.

[4] Nuvolone, L’evento e il dolo nella diffamazione, in Riv. It., 1949, 572.

[5] Relazione del Guardasigilli al Re, n. 198.

[6] Cass. pen., Sez. V, sent. n. 13349 del 27/11/1999, in cui si legge: “… nel caso di specie, pertanto, la abrogatio criminis non dà luogo ad una ipotesi di successione di leggi nel tempo”. Si fa riferimento alla depenalizzazione del reato di oltraggio a un p. u., intervenuta con l’abrogazione ai sensi dell’art. 18, legge 25 giugno 1999, n. 205.

[7] F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Milano, Giuffrè, 1966, Parte speciale, I, 135.

[8] Si tratta di un concetto affermato da Frank, Binding, Liszt.

[9] Ma anche la Relazione ministeriale sembrava deporre in tal senso, ritenendo offeso con l’ingiuria il solo sentimento del proprio onore.

[10] Cass. pen., Sez. V, sent. n. 3247 del 24/03/1995. Vedi nota n. 28.

[11] Cass. pen., Sez. V, sent. n. 5945 del 18 giugno 1982, Vinello, in cui si legge: “… l’offesa alla reputazione può anche consistere nell’aggressione alla sfera del decoro professionale”.

[12] Cass. pen., n. 3247, ud. 28/02/1995, in Cass. pen., 1995, 2536, in cui si legge “La reputazione non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità professionale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico. Non costituiscono, pertanto, offesa alla reputazione le sconvenienze, l’infrazione alla suscettibilità o alla gelosa riservatezza”.

[13] Trib. Milano, 11/05/2000, in Foro amministrativo, 2000, 318.

[14] Polvani, La diffamazione a mezzo stampa, 1998, CEDAM, Padova.

[15] Cass. civ., 15/3/2001, n. 31220, Guida al diritto, 2001, 37, 60.

[16] La Suprema Corte di Cassazione nella sentenza richiamata alla nota precedente parla di “desensibilizzazione della opinione pubblica sul significato di alcune parole e di certe frasi … le quali comunemente, nell’ambito dei rapporti privati, sarebbero offensive”.

[17] Trib. Roma, 14/6/1990, Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1991, 594. Cass. 17/12/1991, D. Inf., 1992, 953.

[18] Corrias Lucente, Il diritto penale dei mezzi di comunicazione di massa, CEDAM, 2000, Padova. Le Pera, Intervista giornalistica e responsabilità del cronista per il reato di diffamazione, Giudice di Pace, 1993, 210.

[19] Cass. pen., 6/11/1992, in Mass. Cass. pen., 1993, 33.

[20] Cass. pen., 20/2/1995, in Cass. pen., 1996, 226. Cass. pen., 12/12/1986, in Rivista penale, 1988, 203.

[21] Trib. Roma, 19/6/1986, in Diritto dell’informazione e dell’informatica., 1988, 439.

07/09/12

Diffamazione via web

Quando si pensa alla rete Internet si pensa immediatamente a un via vai di informazioni. E tante di queste, qualora coincidenti con espressioni denigranti e percepite da un numero indefinito di soggetti terzi, possono dare origine al reato di diffamazione via web. L'illecito della diffamazione in generale è previsto dall'articolo 395 del codice penale e si configura quando chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione. Un reato di evento, inteso, quest'ultimo, come avvenimento esterno all'agente e causalmente collegato al comportamento di costui. Un evento non fisico, ma, si potrebbe dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo, o meglio dei terzi, dell'espressione offensiva, che, pertanto, si consuma non al momento della diffusione del messaggio, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano "terzi" rispetto all'agente e alla persona offesa. Con riferimento alla diffamazione via web, vi è da dire che l'art. 395 comma 3 del codice penale configura il reato di diffamazione commesso col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. Ebbene, detto reato può essere di certo commesso anche per via telematica o informatica, come sostiene la Corte di Cassazione in una storica sentenza (Cass. Pen. Sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741), poiché l'azione di immissione del messaggio "in rete" è idonea a ledere il bene giuridico dell'onore. L'idoneità del sito Internet a concretare il reato diffamatorio trova conforto in molta giurisprudenza di merito, che non ha sottovalutato la pericolosità della rete telematica nella realizzabilità di fattispecie criminose, ritenendo che "l'abuso del diritto di cronaca può concretarsi anche tramite diffusione di messaggi via Internet, poiché il mezzo di diffusione non modifica l'essenza del fatto, valutabile alla stregua dei normali criteri che governano il libero e lecito esercizio del diritto di cronaca" (Tribunale Teramo, ordinanza del 11 dicembre 1997). Ma come e quando si configura il reato di diffamazione attraverso il web? La Cassazione, con la sentenza del 17 novembre 2000 n. 4741, ha affermato che il reato di diffamazione telematica si integra con l'immissione di scritti lesivi dell'altrui reputazione nel sistema internet e la consumazione del reato avviene "non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano "terzi" rispetto all'agente ed alla persona offesa", tanto che "l'evento appare temporalmente, oltre che concettualmente, ben differenziato dalla condotta". Cosicché, tale reato si consuma anche se la comunicazione con più persone e/o la percezione da parte di costoro del messaggio non siano contemporanee alla trasmissione e contestuali tra di loro. Infatti, i destinatari possono trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri ovvero distanti dall'agente. Tanto non accade nell'ipotesi di diffamazione commessa a mezzo posta, telegramma o e-mail, in cui è necessario che l'agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari. Qualora egli, invece, utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente verso tutti, sia pure nel ristretto - ma non troppo - ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi (Cass. pen. sez. 5, 21 giugno 2006 n. 25875; Cass. pen. sez. 5, 17 novembre 2000 n. 4741). Lo ha ribadito recentemente la Corte Suprema nella sentenza del 26 giugno 2010, n. 2739 che, nell'individuare i criteri per la determinazione del luogo di consumazione del reato di diffamazione commesso mediante la pubblicazione di un articolo su un giornale on line, ha precisato anche che il provider mette a disposizione dell'utilizzatore (nel caso trattato dalla Cassazione la testata editoriale o giornalistica) uno spazio web allocato presso un server, che può trovarsi ovunque. Una volta inserite le informazioni non si verifica alcuna "diffusione" delle stesse: i dati inseriti non partono dal server verso alcuna destinazione, ma rimangono immagazzinati a disposizione dei singoli utenti che vi possono accedere, attingendo dal server e leggendoli al proprio terminale. Ne consegue che, quand'anche esista un preciso luogo di partenza (il server) delle informazioni, lo stesso non coincide con quello di percezione delle espressioni offensive e, quindi, di verificazione dell'evento lesivo, da individuare nel luogo in cui il collegamento viene attivato. Il sito web sul quale viene effettuata l'immissione è, per sua natura, destinato ad essere visitato da un numero indeterminato di soggetti; pertanto, nell'ipotesi in esame, in cui un giornale sia redatto in forma telematica, deve necessariamente presumersi che all'immissione faccia seguito, in breve tempo, il collegamento da parte di lettori, non diversamente da quanto deve presumersi nel caso di un tradizionale giornale a stampa. Accade, allora, che quando una notizia risulti immessa sul sito web si presume fino a prova contraria la diffusione della stessa, proprio in quanto l'accesso ai siti web è in genere libero e frequente. Sicché l'immissione di notizie o immagini in rete implica la fruibilità da parte di un numero solitamente elevato di utenti, anche se difficile da accertare. Pertanto, sulla base di tali considerazioni, si desume che il luogo in cui viene commesso il reato di diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da un maggior numero di fruitori della rete. Dunque, nel luogo in cui il collegamento viene attivato.